Dickens ha viaggiato molto anche in Italia. Come prima destinazione del suo itinerario, iniziato il 2 luglio del 1844 da Dover, aveva scelto Genova. Era accompagnato dalla moglie, dai figli e dai domestici, per un totale di dodici persone. Lo scrittore aveva acquistato una diligenza gigantesca, che ha portato il numeroso gruppo fino a Marsiglia, dove si sono imbarcati tutti per Genova. Qui, Angus Fletcher aveva affittato per loro Villa Bagnarello, circondata da vigneti e sovrastante il mare. Dickens l’ha subito soprannominata “la prigione rosa” e non vi è rimasto a lungo. Durante questo breve periodo, Dickens compiva spesso a piedi o a cavallo, l'ascensione del vicino Monte Fasce, soffermandosi in una certa osteria di cui celebra i taglierini e i ravioli, l'appetitosa cucina genovese, e i robusti vini.
Anche la città di Genova dapprima lo ha deluso. La trovava sporca, trasandata, indolente, rumorosa e sovraffollata. Ma ben presto è arrivato ad amarla. Gli piacevano le sue stradine strette, gli affreschi sui muri che li rendevano simili alle quinte di un teatro, le persone gesticolanti. La sua seconda dimora è stata Villa Peschiere, così chiamata per i pesci rossi nelle fontane del giardino. L’edificio gli piaceva molto e lo ha descritto così:
«Sarebbe difficile trovare in tutta Italia una residenza più incantevole di questo Palazzo Peschiere, situato sopra un'altura dalla quale si ammira tutto il meraviglioso panorama di Genova e del mare, e circondato da magnifici giardini, adorni di statue, di fontane, di terrazze, olezzanti di fiori e ombreggiati da alberi di arancio o di limone. Le stanze sono decorate sfarzosamente, ma con gusto squisito, e, per farla breve, mi sembra di trovarmi in uno di quei palazzi incantati delle Mille e una notte, anzichè in una casa del nostro prosaico secolo decimonono.»
Dickens soleva passare tutta la mattinata nel giardino, preferibilmente vicino alla grande vasca davanti alla facciata principale del palazzo, e al suono argentino dell'acqua e del cinguettio dei numerosi uccelli, scrivendo e accumulando cartelle con quella rapidità per la quale è rimasto celebre. Fu in una di queste mattinate ideali che egli terminò il suo Old Curiosity Shop, dandone la buona notizia ad un amico con quella intima soddisfazione che accompagna l'opera compiuta: « I have written a tremendous book ! » (Ho scritto un libro straordinario); e fu anche qui, nel giardino, in una radiosa mattina d'autunno, che gli balenò in mente l'idea creatrice di Martin Chuzzlewit.
Dal Palazzo Peschiere intraprendeva lunghe peregrinazioni nella città, ammirando tutto con entusiasmo: le chiese, i quadri, le magnifiche collezioni di arte, ma soprattutto le manifestazioni della vita passata e moderna, le vie tortuose dei quartieri antichi, il porto col suo movimento febbrile....
Quasi tutte le domeniche si recava al monumentale Campo Santo, e la sera, prima di tornare al palazzo Peschiere, amava passare una mezz'ora nel silenzio e nel raccoglimento di qualche chiesa.
Il teatro era una delle sue grandi passioni, e quasi tutte le sere lo si vedeva nel suo palco al Carlo Felice, che egli considerava uno dei più bei teatri del mondo.
Dickens era profondamente riconoscente alla sua Genova, come soleva chiamarla, per i giorni felici ch'egli aveva trascorso fra le sue mura e per l'ispirazione di cui la bella città gli fu prodiga: « Venite a raggiungermi, egli scriveva allo scrittore Douglas Jerrold, e ve ne troverete contento, poiché non vi è altro posto al mondo come Genova per lavorare e per divertirsi ».
Roma gli è apparsa simile a Londra, anche se nelle chiese gli sembrava di sentir risuonare le grida dei martiri e nel Colosseo di vedere i fantasmi dell’antica Roma. L’allegra pazzia del carnevale fa da contraltare alle esecuzioni pubbliche, i fastosi cerimoniali in S. Pietro sono ben lungi dall’incantarlo. Di Napoli ha scritto: « E' una bella città, ma molto inferiore alla sua fama. In quanto al suo golfo non può paragonarsi a quello di Genova, che è infinitamente più incantevole ». Vi dominano la sporcizia, il degrado, la miseria. Ha descritto i lazzaroni come animali, squallidi, cenciosi, abietti, miserabili, utili solo all’ingrasso dei pidocchi. Il suo rigetto è stato tale da decidere di non proseguire oltre verso sud.
Per quanto riguarda le città lungo la via Emilia, Piacenza lo ha colpito per i suoi palazzi da sogno mentre a Parma gli è parso di avvistare degli spettri in mezzo alle rovine. A Modena è rimasto stupito dai mostri scolpiti sul Duomo mentre la deserta Ferrara gli è sembrata una città dei morti. Bologna infine gli era parsa tenebrosa per i portici. La nebbia trovata a Milano gli ha dato un senso di straniamento, tanto che, scrive, la guglia del Duomo poteva benissimo essere a Bombay. Solamente Venezia gli è sembrata degna di reggere al confronto con la « Superba », alla quale però ha finito per dare la palma su tutte le città italiane.
Nell’insieme, il libro riproduce scenari da romanzo gotico, con spettri, prigioni, torture e terrificanti simboli di morte. A questo si deve aggiungere che l’Italia a lui sembra il paese del caos e dell’irregolarità, un luogo dominato dal degrado, dalla sporcizia e dalla miseria. Queste sue impressioni così negative hanno fatto dire a G. K. Chesterton che il suo non era stato un viaggio in Italia, ma a Dickensland.