
Sono salito sulla vettura - costruita in Germania, spaziosa, pesante e, come tutte quelle fabbricate in Germania, non verniciata – ho tirato su gli scalini dietro di me, mi sono chiuso dentro sbattendo la porta e ho pronunciato la frase: “Andiamo!”
All’improvviso, hanno cominciato a scorrermi davanti agli occhi i quartieri occidentali e sudoccidentali di Londra, a un ritmo così veloce che, prima ancora di aver avuto il tempo di guardarmi intorno con calma ero già sul fiume, oltre la Old Kent Road, verso Blackheath e su per Shooter’s Hill.

Sul tetto c’erano due ampie Imperiali, davanti e dietro altri depositi destinati ad accogliere il bagaglio; sopra la testa c’era una rete per i libri e grosse tasche sotto le finestre. Sul retro della vettura era fissata una lampada di cuoio, nel caso fossimo stati sorpresi dalle tenebre. Ero ampiamente provvisto sotto ogni aspetto. Non avevo idea di dove stessi andando - cosa che trovavo deliziosa – eccetto che stavo andando all’estero.
La strada era liscia, i cavalli erano freschi, andavamo veloci ed eravamo a metà strada fra Gravesend e Rochester, nel punto in cui il fiume diventava più ampio e trasportava le navi con le vele bianche o nere di fumo dirette al mare, quando ho notato un bambino molto strano sul bordo della strada.
“Ohilà! - ho detto allo strano bambino - dove abiti?”
“A Chatham” ha risposto.
“Che cosa fai qui?” chiedo.
“Vado a scuola.” risponde.
In un attimo l’ho tirato su e abbiamo proseguito. Subito, lo strano ragazzo ha detto: “Stiamo raggiungendo Gad’s Hill, dove Falstaff veniva a derubare i viaggiatori e poi fuggiva.”
“Tu conosci Falstaff, allora?”
“So tutto di lui. – ha detto lo strano ragazzo - Ho nove anni, sono vecchio e leggo ogni sorta di libri. Ma, ti prego, fermiamoci in cima alla collina e osserviamo quella casa lassù.”
“Ti piace?” ho chiesto.
“Perbacco, signore – ha detto lo strano ragazzo – quando non avevo che la metà degli anni che ho adesso, per me era una festa quando mi portavano a vederla. Adesso che ho nove anni, ci vengo da solo a guardarla. E da quando ho memoria mio padre, vedendo che stravedevo per lei mi diceva spesso: ‘Se sarai perseverante e lavorerai sodo, un giorno ti potrebbe capitare di venirci a vivere.’ Questo, tuttavia, è impossibile!” ha detto lo strano ragazzo, tirando un sospiro profondo e fissando la casa attraverso le finestre con gli occhi sgranati e con tutto il suo vigore.
Ero sorpreso da quello che diceva il giovinetto, perché si dà il caso che quella casa fosse la mia e avevo ragione di credere che quello che aveva detto fosse vero.

La mattina presto ero sul ponte della nave postale, prima di dirigermi verso il bar. Quando sono arrivato dall’altra parte, dopo aver superato la Dogana, e ho cominciato a sollevare la polvere delle aride strade francesi, dove gli alberi, simili ad arbusti che non hanno mai avuto le foglie e, probabilmente, non le avranno mai, proteggevano con un accenno d’ombra un soldato impolverato o un lavoratore dei campi, addormentati su un mucchio di sassi, ho cominciato a recuperare il mio entusiasmo da viaggiatore.

Dopo pranzo devo essermi addormentato, perché sono trasalito quando una faccia allegra ha guardato dentro dal finestrino e ho detto: “Buon Dio, Louis, ho sognato che eri morto!”
Il mio vivace servitore si è messo a ridere e ha risposto: “Io? Niente affatto, signore.”
“Come sono felice di essere sveglio! Che cosa dobbiamo fare, Louis?”
“Dobbiamo cambiare i cavalli. Vorreste salire a piedi sulla collina?”
“Sicuro.”
Mentre salivo, ho dato il benvenuto alla vecchia collina francese, al vecchio lunatico (che ricordava in qualche modo la Maria di Sterne) che viveva a mezza costa in un canile con il tetto ricoperto di paglia e che si precipitava fuori con la gruccia e l’ampio berretto da notte sulla grossa testa, per precedere i vecchi e le vecchie che mettevano in mostra i bambini deformi, e i bambini che mettevano in mostra i vecchi e le vecchie, ciechi e ripugnanti, che sembravano essere sorti all’improvviso dagli elementi per popolare la solitudine!
“Bene! - ho pensato, gettando loro tutte le monetine che avevo - Ecco che arriva Louis e io sono ben sveglio dopo il mio pisolino.”



Faceva molto caldo e questo non contribuiva a migliorare la sua condizione e neanche la mia. Una donna piccola, gradevole e ordinata, con la chiave di casa infilata nell’indice, che era venuta a mostrare l’uomo alla figlioletta mentre entrambe stavano mangiando dei dolci, al momento di uscire ha osservato che non avevo un bell’aspetto. Poi, inarcando le piccole sopracciglia per la meraviglia, ha domandato a monsieur se c’era qualche problema. Negando debolmente che ve ne fosse alcuno, monsieur ha attraversato la strada per entrare in un’enoteca a prendere un brandy, poi ha deciso di andarsi a rinfrescare con un tuffo nei grandi bagni pubblici galleggianti sul fiume.

Sono uscito in fretta e mi sono rivestito. Per lo spavento, avevo inghiottito dell’acqua, che mi ha fatto star male perché pensavo che fosse contaminata da quella creatura. Sono tornato nella mia fresca stanza in penombra, mi sono allungato sul divano e ho cominciato a ragionare fra me e me.
Naturalmente, sapevo perfettamente che quella grande creatura scura era morta stecchita, e che la probabilità di incontrarla in un luogo diverso da quello dove l’avevo vista erano la stessa che vedere altrove la cattedrale di Notre-Dame. La sua immagine, impressa con forza nella mia mente, mi tormentava e mi impediva di liberarmene, fino a quando non si fosse consumata da sola.
Riflettevo sulle particolarità di questa possessione, che mi metteva molto a disagio. La sera, a cena, alcuni pezzi di carne nel mio piatto mi sembravano dei brandelli del suo corpo, e sono stato contento di alzarmi da tavola e andarmene. Più tardi, mentre stavo passeggiando in Rue St. Honoré, ho visto un annuncio affisso in una sala pubblica, in cui si informava di esercitazioni di lotta libera, con lo spadino, con lo spadone e di altre simili prodezze. Sono entrato e, dato che alcuni schermitori erano molto abili, sono rimasto. A fine serata era previsto un incontro di Boxe Britannica, nostro sport nazionale.

Nella piccola anticamera del mio appartamento all’hotel c’era un odore piuttosto nauseabondo, tutt’altro che insolito a Parigi. Anche se la grande creatura scura vista all’obitorio non era associata in modo diretto con il mio odorato, perché una spessa lastra di cristallo, efficace quanto un muro di acciaio o di marmo, la isolava, quel soffio dentro la stanza non mancava di ricordarmela. La cosa più curiosa era la bizzarria con cui il suo ritratto sembrava prendere forma e illuminarsi nella mia mente, in luoghi e momenti diversi.
Mentre passeggiavo al Palais Royal e guardavo pigramente e con piacere le vetrine dei negozi, trattenendomi piacevolmente davanti a quella degli abiti pronti, indugiando ad osservare le vestaglie strette in vita e i panciotti brillanti, gli occhi mi cadevano sul proprietario, sul commesso, persino sull’uomo alla porta e pensavo: “Gli somiglia!”. Subito ricominciavo a sentirmi male.
La stessa cosa succedeva a teatro e, spesso, anche in strada, dove non ero certo alla ricerca di somiglianze e dove, quasi sicuramente, somiglianze non ce n’erano. Ero perseguitato dalla creatura non perché fosse morta, la stessa cosa sarebbe potuta capitare anche con un essere vivente, lo so perché mi è successo altre volte. Il tormento è andato avanti per circa una settimana, poi l’immagine ha cominciato gradualmente a perdere vigore; non era diventata meno forte e distinta, ma compariva meno frequentemente. Chi ha l’incarico di prendersi cura dei bambini può forse prendere in considerazione questa esperienza.
E’ difficile descrivere l’intensità e l’accuratezza delle capacità di osservazione di un bambino intelligente. In questo periodo della vita si è molto impressionabili e un’esperienza simile potrebbe lasciare un’impronta indelebile. Nel bambino, incapace di ragionarci sopra, un effetto emotivo legato a un oggetto spaventoso sarà per sempre inseparabile da una grande paura. In momenti simili, sarebbe meglio ucciderlo che usare con lui metodi spartani e obbligarlo a stare al buio o da solo in una stanza.
Ho lasciato Parigi in un mattino luminoso nella diligenza tedesca, con grande frastuono, e fortunatamente ho lasciato per sempre dietro di me la creatura. Devo confessare, tuttavia, di essere tornato all’obitorio dopo la sua sepoltura, per osservarne i vestiti e di averli trovati, come lei, spaventosi, particolarmente i suoi stivali.
Ho salutato la compagnia e sono partito in direzione della Svizzera guardando avanti, non indietro.


